Intervista a Luigi Muzii

Intervista a Luigi Muzii

pubblicato in News

da il 14 giugno 2011 5 commenti

Verto Group ospita nel suo spazio virtuale Luigi Muzii, personalità di spicco nel panorama dell’industria delle lingue in cui opera dal 1982, prima come traduttore, poi come localizzatore e redattore tecnico e, infine, come consulente.

È docente a contratto di terminologia e localizzazione per la Libera Università degli Studi per l’Innovazione e le Organizzazioni (LUSPIO) di Roma e autore del libro “La redazione dei documenti tecnici, dalla progettazione alla realizzazione” (Franco Angeli).

Tra i fondatori dell’associazione italiana per la terminologia e del Gruppo L10N [LM1] , cura un blog tematico sulla comunicazione specializzata, Il barbaro, attualmente chiuso a tempo indeterminato in attesa della pubblicazione di un libro che ne raccoglierà i post.

Ringraziamo innanzitutto Luigi per la cortesia e la disponibilità ed iniziamo ad approfondire alcune tematiche sul mondo della comunicazione multilingue.

D: Crisi o non crisi. Quali sono gli attuali scenari del mercato italiano delle traduzioni e quali i possibili sviluppi?

R: L’industria della traduzione non è stata colpita dalla crisi, e se così può sembrare dipende dal fatto che il mercato italiano è da sempre caratterizzato da alcuni aspetti tipici del settore molto più marcati che in altri paesi. Il primo è la frammentazione. L’unica vera operazione di consolidamento cui ho assistito da che sono attivo è quella, recente, tra Arancho e Ic.Doc. Il secondo è, almeno in parte, effetto del primo, ed è il subappalto: si contano sulle dita di una mano gli operatori in grado di attirare clienti importanti, tanto più all’estero. Gli altri, per lo più, lavorano come appaltatori o subappaltatori per progetti altrui. La filiera, cioè, si allunga comprimendo i prezzi e i margini. Credo che questa tendenza si confermerà, almeno in Italia, anche perché prezzi e compensi sono in calo da anni come è, in fondo, normale che accada man mano che un’attività diviene sempre più agevole. Quando ho cominciato io, per capirsi, tradurre era impegnativo, potevano essere necessarie lunghe ricerche, si usavano le macchine da scrivere e per acquistare un flacone di bianchetto, che fu un’invenzione straordinaria, o una risma di carta si spendeva parecchio; il nastro si girava e rigirava e il passaggio da una macchina meccanica a una elettrica era lungamente ponderato, ancorché agognato. Adesso è la volta del cloud computing e della traduzione collaborativa e la facilità con cui sarà possibile reperire risorse magari non pregiate ma a buon mercato attraverso i canali della Rete condurrà a un’ulteriore compressione dei compensi. Per questo, i freelancer dovranno seriamente cominciare a discutere di come ripensare il loro modello di pricing e il loro approccio al mercato, se non addirittura il loro stesso modello di business. La fine del freelancing come lo si conosce, almeno in questo settore, è un’eventualità molto concreta. Sono ugualmente convinto, però, che se anche la pressione sui prezzi continuerà, sarà accompagnata da una maggiore attenzione al quadro generale, con una conseguente richiesta di soluzioni più sofisticate. Dal momento, però, che analisti più autorevoli di me prevedono un’ulteriore crescita dell’outsourcing è difficile pensare che certe sofisticatezze si possano richiedere a fornitori abituati a sostenere solo una competizione sul prezzo, a dispetto dei loro proclami.

D: Qualità. Concetto sempre più invocato e raramente inquadrato in maniera oggettiva. Qual è la posizione degli addetti ai lavori?

R: Io ho, da sempre, una visione della qualità che non coincide con quella generalmente condivisa dai cosiddetti addetti ai lavori. Innanzitutto penso che la qualità si debba produrre e non vendere. Non conosco, infatti, clienti disposti ad acquistare altro che non sia di qualità, il che vuol dire che la qualità è un prerequisito e non può essere una proposizione di vendita. Penso anche che gli attuali modelli di pricing non siano trasparenti e che questo produca una serie di distorsioni, a cominciare da una notevole asimmetria informativa, che rendono il cliente scettico e maldisposto; ma sono ancora tanti, troppi quelli che pretendono di “educarlo”, mostrando supponenza, arroganza e ignoranza. Esattamente il contrario di quella “qualità” che il cliente si aspetta.

D: E qual è, quindi, il concetto di qualità per il mercato?

R: Un livello di servizio adeguato alle attese. Tutto sta a comprenderle queste attese e saperle soddisfare. Sono pochi, però, i traduttori che sanno fare domande, che si concentrano sui requisiti, come i loro stessi clienti fanno con i loro.

D: Quanto le associazioni di categoria si fanno realmente interpreti delle esigenze del mercato?

Le associazioni di categoria italiane sono spaventosamente arretrate e niente affatto rappresentative, anzi, decisamente elitarie. Gran parte degli associati inseguono ancora il miraggio ordinistico, ma non sono disposti a sostenere gli oneri che gli iscritti a un ordine solitamente sostengono e che potrebbero dotare i loro organismi dei mezzi per condurre, tra i tanti, seri studi di mercato. Tanto meno sono interessati, e con loro, ovviamente, le associazioni che li raccolgono, a forme di certificazione indipendente, e continuano a guardarsi l’ombelico, a crogiolarsi su forme di riconoscimento che ai clienti non interessano. Prendiamo i codici deontologici, violati quotidianamente senza che i trasgressori incorrano in sanzioni di alcun tipo. Ciò nonostante, se anche vi fosse la concreta possibilità di essere sanzionati non si asterrebbero dal commettere queste violazioni, anzi: semplicemente non le ritengono tali, non le riconoscono e non accettano che altri le rilevino.

D: È auspicabile una regolamentazione del mercato?

R: Assolutamente no, anche se un mercato veramente libero è, per definizione, lasciato ai suoi operatori e il senso etico che questi dimostrano è ciò che lo rende selvaggio. Non è neanche vero che in un mercato regolamentato si affaccerebbero solo operatori seri, e basta prendere ad esempio quello dei lavori pubblici. L’abitudine a comportamenti etici si forma e una volta radicata induce a pretendere che vi si adeguino anche gli altri. Forse è questo che manca, ma è un problema del nostro Paese e della nostra società, prima ancora che di questo mercato.

D: Università e Mercato del Lavoro: l’Università è in grado di preparare figure professionali realmente capaci di misurarsi con un lavoro dinamico e in continua evoluzione come quello del traduttore? In base alla nostra esperienza raramente laureati in Traduzione e Mediazione Linguistica sanno effettivamente muoversi con disinvoltura e rimangono troppo ancorati ad approcci teorici sul modo di lavorare.

R: Compito dell’Università non è quello di preparare al lavoro, ma di formare conoscenze. Le aziende, però, possono, anzi dovrebbero, impegnarsi direttamente per favorire questa formazione, mentre si limitano ad avanzare aspettative, spesso pretese, destinate a restare disattese perché i tempi dell’università non sono e non possono essere quelli del mercato del lavoro. Inseguire le aziende su questo terreno, quindi, nella speranza di aumentare gli indici di collocamento dei propri studenti e con essi il proprio prestigio è un errore. Una delle ragioni per cui il Gruppo L10N ha cessato ogni attività è stata l’indisponibilità degli operatori a finanziare i suoi interventi, malgrado dichiarasse di apprezzarli. È anche vero, però, che le scuole e le facoltà di mediazione linguistica sono concentrate su aspetti superati. La ragione è semplice: riciclano docenti e anch’io, per certi versi, sono frutto di questo riciclo. Per lo più, però, si tratta di docenti di lingua, quando ormai dovrebbe esser chiaro che la conoscenza della lingua straniera non è più centrale. L’approccio teorico, ancorché metodologico, resta valido. Di recente, qualcuno ha detto che la differenza tra un traduttore improvvisato e uno che ha studiato da traduttore è nell’incapacità del primo di motivare le proprie scelte. In parte è vero, e in parte proprio perché affrontano la traduzione ancora da un punto di vista meramente linguistico scuole e facoltà di mediazione linguistica “dimenticano” di insegnare ai loro studenti a confrontarsi con la realtà che cambia. Oggi la traduzione è un tavolino a tre gambe, che poggia su dati, strumenti e competenze. La lingua deve rientrare tra gli strumenti e le competenze devono comprendere quella di saper usare gli strumenti e produrre i dati, accedervi e servirsi di essi. Per poter utilizzare la lingua come strumento, però, occorre l’abilità di servirsene che è seconda solo alla padronanza di essa. L’abilità di servirsene comincia dall’abilità nella scrittura che, però, non si insegna, non si esercita e non si corregge e sviluppa. È ovvio che se non si padroneggia la lingua straniera, oltre che la propria, non si può tradurre efficacemente, ma ciò che colpisce il cliente, almeno nella mia esperienza, sono leggibilità e chiarezza di un testo, tanto quanto oscurità e difficoltà. Anche queste ultime sono prodotto di competenze, ma possono manifestarsi anche per incapacità comunicativa. Le prime due caratteristiche, invece, testimoniano sempre professionalità.

[LM1] Il Gruppo L10N ha cessato ogni attività alla fine del 2008.

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Ci sono 5 commenti su ' Intervista a Luigi Muzii '

  • Francis ha detto:

    Ma… se gli esperti del settore condividessero la loro esperienza e dessero anche qualche suggerimento pratico? Altrimenti è la solita aria fritta e rifritta.

    • Viviana Picchiarelli ha detto:

      Buongiorno Francis,
      l’obiettivo di questi nostri incontri “virtuali” è proprio quello di mettere a confronto l’esperienza degli “esperti del settore” con la realtà del mercato che, spesso, purtroppo o per fortuna, è ben lontana da quanto le università italiane prospettano. Ci saranno altre interviste con traduttori di diversi settori e cercheremo di dare “dritte” interessanti a chi intende approcciare la professione di traduttore/interprete in maniera concreta e non ingessata.

      Si accettano suggerimenti.

      Grazie e a presto

      Viviana

  • Ho studiato molto bene questo mercato rispetto ance quello della Francia e di altri paesi euopei (Gemania ad esmpi). I punti in comune sono molteplici, ma l’Italia si caraterizza sempre del suo aspett fai da te – a poco prezzo, perché sembra che anche un italiano possa scrivere bene in inglese – ho un blo – se volete potete consultarlo x prendere degli spnt – grazie http://wwwtraduttoretecnico.blogspot.com

    • Viviana Picchiarelli ha detto:

      Buongiorno Elisabetta,
      grazie per il tuo riscontro. Credo che la situazione generale sarà anche occasione per rivedere, in meglio, un modus operandi che di certo non fa onore al nostro paese ma che soprattutto penalizza chi lavora seriamente.

  • […] Luigi Muzii riassume in concetti alla base di questo sistema. […]

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