Intervista a Isabella Blum

Intervista a Isabella Blum

pubblicato in News

da il 16 luglio 2011 2 commenti

Verto Group ospita nel suo spazio virtuale Isabella Blum. Traduttrice per le principali case editrici italiane (Adelphi, Bollati-Boringhieri, Codice, Einaudi, Feltrinelli, Garzanti, Guanda, Laterza, Le Monnier, Longanesi, Rizzoli, Utet, Zanichelli e altre), si occupa in prevalenza di testi scientifici (saggistica, divulgazione, trattati universitari). Ha dato voce ai premi Nobel N. Tinbergen, J. Watson, F. Crick; e a scienziati di fama mondiale quali A. Damasio, O.W. Sacks, J. Lovelock, S.J. Gould e altri ancora. Ha tradotto alcuni scritti, editi e inediti, di Charles Darwin.

Affianca all’attività di traduzione anche quella didattica, sia in ambito accademico che privatamente, ideando e gestendo corsi per traduttori. Attualmente è coinvolta anche nel Master in Traduzione Specialistica erogato dal consorzio ICoN (Università di Pisa, Genova e Bari), per il quale copre la docenza di scrittura, metodologia della traduzione e traduzione biomedica.

Ulteriori informazioni sulla sua attività sono reperibili su www.isabellablum.it.

D: Come si diventa traduttori editoriali? Quali sono i percorsi formativi più idonei?

Oggi esistono percorsi universitari specifici, sia triennali, sia biennali (lauree magistrali). Va detto comunque che si può arrivare alla traduzione anche se si proviene da studi differenti, per esempio se si è in possesso di una laurea scientifica, come è il mio caso. Per fare il traduttore occorrono alcune competenze e alcune qualità fondamentali: la conoscenza approfondita di una lingua straniera; la padronanza della propria lingua madre; una grande passione per la lettura, la scrittura e in generale l’universo delle parole;  un’inclinazione per lo studio e la ricerca, per quello che io chiamo lavoro investigativo…  D’altra parte, nessuno di questi ingredienti è di per sé sufficiente: occorre che siano presenti tutti. E se anche sono presenti tutti, ancora non abbiamo un traduttore. Deve scattare qualcosa in più, qualcosa che in larga misura proviene dall’esperienza, ma anche dalle qualità squisitamente umane, personali, di chi svolge questo lavoro.  Occorre essere portati per la comunicazione, ed essere buoni psicologi…

È chiaro che nessun tipo di formazione universitaria può dare tutto questo. Nel nostro lavoro la competenza viene costruita passo per passo, un giorno dopo l’altro, nel corso di una formazione davvero permanente. È evidente che ciascuno, a seconda delle basi che ha ricevuto, dovrà poi colmare le lacune sugli altri fronti. Ma il bello del nostro mestiere è proprio questo. In ogni lavoro noi riversiamo tutta la nostra esperienza, tutto quello che sappiamo; e usciamo da ogni lavoro con un bagaglio di conoscenze che all’inizio non avevamo… Credo che ci siano pochissime attività in grado di garantire questa crescita costante, continua, per tutta la carriera.

D: Quanto è importante la possibilità di un confronto con l’autore?

Nella mia esperienza personale ho avuto contatti molto piacevoli con alcuni miei autori che mi hanno scritto, ringraziandomi per il lavoro svolto sulle loro opere: a cose fatte, dunque.  Invece, durante la traduzione, non mi sono mai rivolta ai miei autori per avere una chiave di lettura dei loro testi. Non per principio: semplicemente non è mai accaduto perché non ne ho sentito il bisogno. In un unico caso avrei fatto, come si dice, carte false per chiedere lumi al mio autore su certi passaggi criptici, certi detti-e-non-detti micidiali. Purtroppo non era possibile: mi riferisco alle mie traduzioni di Darwin… lì, come ho detto spesso, più che un traduttore in certi casi sarebbe stato necessario un medium.  Battute a parte, credo che un’interazione con l’autore possa essere, per il traduttore, un’esperienza molto gratificante e in alcuni casi molto utile. Respingo tuttavia l’idea della necessità di tale interazione (idea che di tanto in tanto affiora nelle discussioni, e che trovo francamente assurda).

D: Cosa si aspettano le case editrici, in un contesto di crisi come quello odierno, dai traduttori?

Se sono editori seri, esattamente quello che si aspettavano prima della crisi e che continueranno ad aspettarsi anche dopo: un collaboratore competente che produca lavori di qualità rispettando le scadenze.

D: Quali sono i canali di contatto tra case editrici e traduttori?

Fondamentalmente quello tradizionale del CV. Non è affatto vero che i CV vengano cestinati o che non siano presi in considerazione dalle case editrici.  È vero invece che molti aspiranti traduttori compilano CV inadeguati o ingenui, commettendo gravi errori di comunicazione nella scrittura di un testo particolarmente delicato. Il CV da inviare agli editori è molto diverso da quello che invieremmo per farci assumere da un’azienda. Il tipo di interazione fra traduttore e casa editrice è diverso (non potrebbe esserlo di più) da quello che si stabilisce fra un’azienda e un dipendente: per questo motivo anche l’approccio iniziale deve essere diverso. Alcune cose sono importanti, vanno dette, e vanno dette bene; altre cose sono irrilevanti, e  dovrebbero essere tralasciate in quanto distraenti e controproducenti. Importantissima anche la lettera di presentazione che si manda insieme al CV.

Credo che nella presa di contatto con gli editori, la fase più difficile sia quella iniziale,  diciamo quella legata ai primi tre-quattro lavori. In questa fase, per farsi conoscere, oltre all’invio di un CV ben scritto, mirato, personalizzato, si possono fare utili conoscenze anche visitando le grandi manifestazioni dell’editoria (Francoforte, il Salone del libro di Torino, la Fiera del libro per ragazzi di Bologna…).

Quando poi il traduttore non è più esordiente, ma ha già qualche lavoro alle spalle, diventa molto importante il passaparola fra le redazioni. Chi ha potuto collaborare con un bravo traduttore ne parla ai colleghi, e spesso si viene contattati da case editrici a cui non si è mai mandato un CV. Quando questo comincia a succedere con regolarità è segno che le cose cominciano a girare nel verso giusto: una conferma che il giovane traduttore si sta muovendo bene.

D: Traduttori editoriali in Italia: quali sono le attuali condizioni lavorative?

Mestiere di alto profilo, molto ambito dai giovani laureati, quello della traduzione editoriale è un lavoro spesso oggetto di una percezione non realistica: sia fra i non addetti ai lavori (e pazienza), sia fra gli stessi traduttori (e questo è più grave). Questa confusione, ovviamente, non giova alla nostra immagine.  Le attuali condizioni lavorative, per il traduttore editoriale, non sono molto cambiate negli ultimi vent’anni.  Uno dei punti  dolenti è senz’altro quello della retribuzione economica, certo non brillantissima a fronte dell’immenso impegno e delle competenze richieste. Su questo fronte, ripeto, le cose non sono molto cambiate da quando io ho iniziato a fare questo mestiere, nel 1983.  Sicuramente non giova il fatto che i traduttori spesso ignorino il diritto d’autore,  non sappiano riconoscere un contratto decoroso distinguendolo da documenti inaccettabili… né giova il fatto che pur di lavorare molti esordienti siano disposti a sottoscrivere condizioni di lavoro inumane (danneggiando prima di tutto se stessi nell’immediato; e in secondo luogo tutta la categoria – e quindi ancora se stessi, sul lungo periodo). Sicuramente, per migliorare la nostra capacità di negoziare condizioni di lavoro migliore sarebbe fondamentale una maggiore consapevolezza su questi temi, consapevolezza che dovrebbe essere alimentata già durante gli studi universitari.

Naturalmente, l’argomento delle “condizioni lavorative” non si esaurisce con il discorso economico.  Per lavorare serenamente occorre anche saper stabilire rapporti proficui e corretti sia con gli altri colleghi (costruendo una rete di contatti che si rivela preziosa nei momenti in cui occorre una consulenza) sia con altre figure fondamentali nella lavorazione di un libro: redattori, revisori,  e  curatori… Tutte queste relazioni, indispensabili per poter lavorare al meglio, vanno instaurate, coltivate e seguite – e questo dovrebbe mostrare quanto sia semplicistico  pensare che il lavoro del traduttore sia un lavoro solitario.

D: L’Azienda di Traduzione: come si colloca, se si colloca effettivamente, nell’ambito delle traduzioni editoriali? Fino a che punto può diventare intermediatore tra casa editrice e traduttore?

Non vedo alcuna necessità di questa intermediazione. Nella maggioranza dei casi, la presenza del mediatore significa, per il traduttore, un compenso più basso; e molto spesso implica anche un’inaccettabile diluizione del diritto d’autore (spesso con erosione dei diritti morali inalienabili: omissione del nome sulla traduzione – che viene pubblicata a cura dello studio editoriale – e difficoltà nell’ottenere in visione le bozze di stampa). Un traduttore esperto può anche lavorare in queste situazioni più complesse, poiché è in grado di tutelarsi, chiedendo un giusto compenso e il rispetto della legge sul diritto d’autore. L’esordiente invece tende a rimetterci per ingenuità. Chi vuole lavorare in editoria farebbe bene a rimboccarsi le maniche e a prendere contatti con gli editori in modo autonomo.

D: Un suo commento sulla sempre attuale polemica: l’istituzione di un Albo Professionale dei Traduttori. Quale potrebbe essere l’impatto sul mercato?

L’albo professionale sarebbe un’ottima idea per i traduttori extraeditoriali, anche se le attuali tendenze in materia di istituzione di nuovi albi non lasciano ben sperare. La sua presenza sarebbe preziosa soprattutto per fissare minimi tariffari e per garantire il livello decoroso delle prestazioni (nell’interesse, allo stesso modo, della categoria e dei committenti). Per il traduttore editoriale – il cui lavoro è riconosciuto come opera dell’ingegno ed è soggetto alla legge sul diritto d’autore – quella dell’albo non è una strada percorribile. Infatti, poiché il lavoro del traduttore editoriale è posto sullo stesso piano dell’attività artistica, il suo esercizio non può essere vincolato o subordinato all’iscrizione a un albo professionale.

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